Storia - L’attività mineraria e metallurgica

Nel Cinquecento nella Valle Averara funzionavano 25 impianti per la lavorazione del ferro, che occupavano una cinquantina di persone. In totale venivano prodotte annualmente circa 600 some di chiodi e altri oggetti in ferro, che venivano venduti in prevalenza a Bergamo, Milano e Genova. Il ferro necessario all’attività metallurgica locale proveniva anche dalle miniere del monte Parisolo, sfruttate con l’impiego di una trentina di minatori. Il ferro estratto però non bastava ad alimentare gli impianti metallurgici e quindi se ne acquistava altro presso le miniere e i forni dell’Oltre Goggia (a Lenna, Bordogna e in Val Fondra). Relativamente a Santa Brigida, i documenti consentono di localizzare diversi impianti e in particolare la fucina grossa detta “dei Migazzi”, situata lungo la Val Mora nella Squadra di Mezzo. Nelle fucine grosse la ghisa prodotta dai forni veniva sottoposta a un processo di affinazione per essere trasformata in ferro dolce o in acciaio destinato alla produzione di chiodi, oggetti da taglio o altri utensili. Tra gli impresari del ferro di Santa Brigida citati negli atti notarili, possiamo annoverare i componenti della famiglia Camarata della Muggiasca che dominò per tutto il Trecento l’attività mineraria e metallurgica della Valle Averara. La loro presenza nel settore proseguì anche nei secoli successivi: alla fine del Quattrocento, Giovanni Bonomo Camarata di Muggiasca era proprietario di parte del forno da ferro di Redivo con annessi utensili e attrezzature e di parte dei boschi del monte di Redivo con tutte le vene di ferro e altri metalli che vi si trovavano. Sul finire del Cinquecento Domenico Camarata figura in possesso di una fucina grossa e di una sotiladora e chiodarola a Lenna, oltre che di terreni nello stesso paese. Tali beni verranno venduti nel 1606 da suo figlio Francesco al nipote Andrea Camarata, il quale li cederà a sua volta a Cristoforo Camarata di Bindo. Andrea Camerata si dedicò attivamente alla siderurgia, prendendo in affitto nel 1612 la fucina grossa “dei Migazzi” della Squadra di Mezzo e acquistando nel 1619 la fucina grossa “dei Luchinetti” situata sotto le case della Fontana. Nello stesso anno si accordò con Francesco Moroni di Valbrembo, mercante a Genova, per vendergli tutte le casse di acciaio, prodotte nelle sue fucine, a 80 lire bergamasche la cassa. Quella dei Camarata è solo una delle dinastie di imprenditori metallurgici della valle che, affermatisi a partire dal Trecento, arrivarono a controllare per secoli il settore, estendendo i loro interessi anche fuori dell’ambito locale. Da ricordare anche Giovanni Goglio della Muggiasca che nel Seicento divenne proprietario della miniera di Parisolo.

L’attività mineraria e metallurgica